A carte scoperte
Evaporato in una nuvola rossa in una delle molte feritoie della notte…L’inconsapevole poesia dei pesciMolto di quanto può essere conosciuto, studiato, imparato sulla pesca a passata è sotto i nostri occhi. Non v’è nulla di più intrigante nel sapere che tutto quello che è racchiuso nella complessità delle tecniche a bolognese, sia in acqua dolce che salata, è in realtà null’altro che una trasposizione di quello che di più immediato vediamo sin da bambini circa gli ecosistemi acquatici.
Mike Tyson disse una volta che il ring è il posto più sicuro al mondo, poiché almeno sai cosa può accaderti. Pensavo a questo mentre passeggiavo, era 7 anni fa, forse qualcosa in più, in riva ad una scogliera. Parlavo con quella donna che supponevo sarebbe diventata mia moglie. Parlavamo di arredamento domestico, di parquet in particolar modo. Beh, che ci crediate o meno, pensavo intensamente che avrei preferito essere sul ring con Iron Mike piuttosto che essere trascinato in quella discussione di cui davvero non avevo idea di dove mi avrebbe condotto. Mi mancava l’aria.
Ci fu un attimo in cui stavo per andarmene. Sarei voluto evaporare in una nuvola rossa come De Andrè ed in un certo modo lo feci. Mi fermai a guardare in acqua. C’era un gruppo di cefali comuni, andavano da una spanna a poco più, sembravano stampati da quanto erano uguali. Si muovevano come se fossero un unico pesce. Una sorta di serpentone argenteo che lambiva le concrezioni di cozze e molluschi, fisse sugli scogli e che si cibava di alghe, mucillagini e più in generale residui in sospensione sprigionati da queste. Se guardavo con più attenzione era evidente il movimento di questo piccolo sciame di bocche. Qualcuno di essi aspirava il materiale sospeso, qualcun altro mordeva alacremente filamenti, piccoli gamberetti e altri organismi. I primi si nutrivano restando paralleli allo scoglio, con la pancia quasi appoggiata di piatto. I secondi puntavano la coda verso l’alto e cercavano di forzare la loro preda, alga o gamberetto che fosse, agitando la coda e pigiando in terra il muso, come ad incunearlo sul fondo per avere più presa. Era uno spettacolo unico.
Adesso finalmente capivo perché se pescavo cefali la pastella funzionava in taluni giorni mentre in altri serviva una impalpabile mollica da mettere all’amo. Era immediatamente chiaro che non sempre mangiavano in entrambi i modi. Talvolta occorreva qualcosa da aspirare, qualcosa di morbido per pescare sospesi in una nuvola odorosa di pastura: l’affondata era repentina. Qualche altra volta serviva un esca più dura da mettere sul fondo. Il pesce avrebbe raccolto da terra l’esca brucando nei pressi della macchia di pastura depositata vicino l’amo: in questo caso ci sarebbe stato il classico tremore del galleggiante che affondava metà astina appena.
Un flusso di pensiero nobile e scientifico, un estraniarsi senza introspezione ma con un preciso ragionamento dotato di un inizio, uno sviluppo ed una fine: questo è pescare. Si può pescare anche senza necessariamente avere una canna in mano.
Quel giorno le dissi che non mi andava più di parlare e che sarei restato da solo sugli scogli per un po’. Quel matrimonio, ringraziando Dio, non s’ebbe da fare ed io rimasi in compagnia dei miei pensieri sui pesci e della loro inconsapevole poesia.
A carte scoperteEra l’inconsapevole poesia dei pesci quella che ascoltavo di nuovo in una domenica di fine autunno quando con Carlo decidemmo di provare la pesca in un canale con meno di un metro d’acqua. Pensavo all’episodio di quei cefali. Pensavo a tutte le volte che avevo potuto capire una dinamica che i pesci mettevano in atto guardandola in prima persona...
Edited by Massimo Zelli - 6/2/2017, 16:26